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Il garbo ritmico di Emma Campanale
Capita talvolta di pensare, dinanzi a certe manifestazioni artistiche contemporanee, che la parola della critica così detta d’arte sia superflua e anche non del tutto adatta a spiegare il fascino o meno delle sue raffigurazioni immaginarie. Un quadro, un disegno o una scultura, a ben vedere, se riescono a catturare un momento ispirativo e felice, parlano da soli e senza alcun bisogno di essere accompagnate da considerazioni critiche, più o meno riuscite o pertinenti.Eppure ogni rappresentazione artistica è, a suo modo, anche un “racconto” che vuole veicolare un “messaggio” e che l’artista stesso, in un certo senso, instaura con la sua tela, i suoi colori, l’immagine che lo incalza dentro, prima di consegnarlo ai suoi possibili fruitori e osservatori.
Qualcosa di simile ci è capitato di pensare osservando attentamente la pittura, i disegni, le maschere e alcune sculture di Emma Campanale. Soprattutto il garbo ritmico di quei suoi atleti, uomini e donne, che in uno slancio del corpo raccontano una gestualità dell’essere umano che confina con l’astrazione, anzi con la bellezza dell’astrazione, e che sembrano lasciare spazio soltanto allo stupore,al silenzio dell’ammirazione.
Gli stessi colori, usati dall’artista per queste figure attive nello sport o nella palestra, sono così luminosi e dolcemente toccati dal chiaroscuro da farti sembrare che perfino lo spazio in cui s’inscrive il loro movimento sia anch’esso il luogo imprendibile della meraviglia e della felicità contemplativa. Di fatto, l’estro artistico di Emma Campanale è, non solo nella precisione del disegno, già così difficile da cogliere nell’istante del movimento, ma particolarmente nel contenere il colore dentro quel movimento, onde dilatarlo oltre i suoi confini. Nella luce segreta che pare farlo esistere unicamente per lo sguardo che sa accoglierlo e parteciparvi con altrettanta libertà e consapevolezza. Il fascino di queste figure dello sport, così vicine alla sensibilità dell’artista, almeno in quel momento della sua avventura pittorica, pone tutto sommato una domanda sulla peculiarità felice e nuova di queste immagini: è la bellezza dello sport a catturare l’interesse dell’artista, oppure, proprio attraverso lo sport, che Emma Campanale sembra celebrare il miracolo del corpo, il dono alla fin fine della sua libertà, della sua grazia allorché sperimenta anche la fatica dell’autodisciplina, delle sue possibilità nascoste o esplicite? Lo sport, si sa, è il luogo per eccellenza delle epifanie del nostro corpo per così dire segreto, ma è anche il luogo dei nostri dilemmi e forse delle nostre rimozioni. In questo senso, a noi sembra che, nel garbo e nell’eleganza di una gestualità umana del corpo e del volto, Emma Campanale compia una sorta di viaggio introspettivo che è, dopo tutto, la chiave più intima e profonda dell’arte occidentale. Una chiave che, come afferma un eccezionale amante dell’arte, Flavio Cairoli, non trova riscontri in alcuna altra tradizione figurativa maturata nel nostro pianeta. Un viaggio introspettivo che, peraltro, Emma Campanale vive anche nei suoi bellissimi “ritratti” ove tenta non tanto lo scandaglio della psicologia, quanto piuttosto il racconto della loro storia umana attraverso quello sguardo, intimo e al contempo interrogativo, che ne incornicia il sottile movimento del volto. Non a caso, le maschere, – così immaginose e perfino provocatorie -, sembrano fare da contrappeso all’autenticità umana e vera dei ritratti. Ma per dirci che le diverse diramazioni creative ed esistenziali sfociano, dopo tutto, in una stessa presa di coscienza: l’arte non è mai soltanto un evento del “tempo”, ma sa vivere “fuori del tempo” per guardare a valori primari e assoluti. Come l’autenticità del corpo e della vita così ben cantata dal poeta Adonis: “ le parole hanno occhi / quando tradiscono gli occhi”. Carmelo Mezzasalma